Ancora adesso che ha 53 anni ed è socia-volontaria del Centro di accoglienza Padre nostro di Brancaccio, nei momenti più difficili, sente sulla spalla la mano di Padre Pino Puglisi. Lo stesso gesto di incoraggiamento che riceveva da adolescente, quando quell’insegnante di Religione così speciale, incontrato nei primi anni del liceo classico Vittorio Emanuele II, era attento a ogni cambiamento di umore dei suoi ragazzi.
Monica Chiappara porta avanti da oltre dieci anni il suo lavoro a Brancaccio, fra la distribuzione della spesa alle famiglie disagiate e le tante procedure burocratiche legate ai progetti perché sa «che padre Puglisi la vuole lì»: nel quartiere che gli è costato la vita.
«Mi ha chiamato lui a Brancaccio – racconta l’ex alunna di padre Puglisi – Lo so, lo sento ogni giorno. Già nei primi anni Novanta, quando arrivò nel quartiere chiese a noi ex alunni di dargli una mano, ma allora non me la sentii. Ero piena di pregiudizi nei confronti di Brancaccio, inculcati dalla mia famiglia e dalla cronaca di tutti i giorni. Rifiutai, poi decisi per il sì quando dovevo fare il tirocinio universitario come assistente sociale. Da allora non sono andato più via.
Il più grande insegnamento che le è rimasto di Puglisi è «accogliere tutti senza distinzioni». «Lui era così – racconta Chiappara – Cattolici, atei, non gli importava, non si tirava mai indietro quando c’era da aiutare qualcuno. Prima di arrivare a Brancaccio pensavo che i detenuti fossero persone da isolare nelle celle e buttare la chiave, adesso ci lavoro a stretto contatto ogni giorno, dialogo con loro».
Quando era una studentessa del Vittorio Emanuele II, padre Puglisi era un punto di riferimento per tutta la classe. Lì preparò anche alla cresima dedicando la lezione del mercoledì al corso. «A un certo punto dovetti cambiare scuola e gli dissi che ero costretta a interrompere il corso di cresima – dice la volontaria- Lui si oppose e disse che mi avrebbe seguita lo stesso, così ci incontravamo ogni mercoledì per mezz0ora nei locali del seminario».
Poi c’era l’appuntamento di ogni sabato, indelebile nella memoria. «Si usciva da scuola a mezzogiorno – racconta- e si andava tutti in via Matteo Bonello, alla Curia arcivescovile, per incontrare Puglisi. Si pranzava insieme e si restava fino alle cinque del pomeriggio. Ricordo con gioia quelle ore, noi sedicenni eravamo contenti di stare con lui invece che andare in giro con gli amici o con il fidanzatino. Don Pino era interessato a noi, ai nostri problemi, non li sottovalutava mai. Era attento, ci ascoltava sempre».
Anche a scuola tutto era speciale: «La sua non era la classica ora di Religione, si parlava di tutto – aggiunge Chiappara – Una volta un mio compagno volle affrontare il tema del buddismo e Puglisi non si tirò indietro. Era un professore autorevole e noi avevamo grande rispetto per lui, perché sentivamo che lui ne aveva per noi».
Quando seppe che la mafia l’aveva ucciso, Monica Chiappara era con suo padre Antonino, che per un periodo aveva fatto il seminario con Puglisi: «Ero con mio padre quando lo incontrai per la prima volta nell’atrio del liceo ed ero con lui quando ho saputo che era morto – dice – Una sorta di che cerchio che si chiudeva. Ricordo il dolore, lo sgomento, l’incredulità di noi ex alunni. Sentimenti che ci siamo portati dentro per anni. Adesso lui c’è nel mio lavoro a Brancaccio, ogni giorno».
di Claudia Brunetto
XXX anniversario | martirio | padre pino puglisi | Segnala | Commenta |
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