«Il quartiere lo voleva comandare iddu. Tutte cose voleva dare iddu nel territorio, che si era messo in testa?»: così il boss dei corleonesi Totò Riina, intercettato in carcere, parlava di don Pino Puglisi, sacerdote ucciso da Cosa Nostra il 15 settembre 1993, giorno del 56° compleanno. A ricordarlo è una suora, sua collaboratrice, nel documentario Testimone di speranza: l’audacia tenera di don Pino Puglisi che Tv2000 trasmette stasera alle 20.55, primo Una “tassello” della programmazione speciale in occasione del 30° anniversario dell’assassinio del sacerdote. Seguirà venerdì 15 (sempre in prima serata) Alla luce del sole, il film di Roberto Faenza interpretato da Luca Zingaretti. E’ proprio a causa del suo impegno nel quartiere palermitano di Brancaccio che don Pino è stato ucciso con un colpo di pistola alla nuca da due sicari, Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli, mandati dai boss Filippo e Giuseppe Graviano: «Ci disse: «Sto arrivando”. Ma non è più arrivato» ricorda ancora la religiosa, una delle voci del documentario che è prodotto da Tv2000 e firmato da Fausto Della Ceca con Valeria Castrucci, Serena Cirillo e Giuseppe Cutrona con l’obiettivo di capire, a trent’anni dalla morte e a dieci dalla beatificazione, cosa rimane a Brancaccio del lavoro di don Pino. Ne parlano i collaboratori più stretti, gli amici di sempre, gli allievi, il magistrato incaricato dell’indagine presso la DDA Luigi Patronaggio, l’attuale parroco di Brancaccio don Maurizio Francoforte, i volontari del “Centro Padre Nostro” (da lui fondato pochi mesi prima di essere ucciso) e l’arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice. Le voci sono unanimi e dicono che «don Pino non era un supereroe ma semplicemente un prete, un prete che ama i suoi figli e la sua comunità fino alla fine e la sua comunità fino alla fine»; che «non si è mai dimenticato di questa comunità, lui ci dice “guardate che non vi ho lasciato da soli, sono ancora qui, sono presente”»; che «la mafia ha iniziato a tremare quando visto che don Pino faceva sul serio, quando ha visto che la gente non si riferiva più alla mafia ma alla parrocchia, ai volontari, alle suore e a lui»; che «la mafia vede incarnata in don Pino quell’alternativa evangelica che può soppiantare la mafia stessa»; e che «il “Centro Padre Nostro” è una cicatrice in questo territorio e ricordiamo come è nato e perché è nato».
E’ lo stesso don Puglisi che ne parla nell’intervista rilasciata al Tg1 il 29 gennaio 1993, giorno dell’inaugurazione del centro: «Questa apertura è segno di esplicita fiducia nella solidarietà degli uomini che esprime la provvidenza di Dio che si è già espressa in altri modi ma che continua a esprimersi in sollecitazione e anche coinvolgimento». Ci teneva don Pino a quel centro: «Era il suo sogno, lo vedeva come un punto di riferimento educativo, morale, spirituale, di crescita e di sviluppo. Come un faro nella notte. Lui non era puntuale, diceva si a tutti ma non arrivava mai puntuale. Quel giorno lo è stato. Era raggiante, l’inaugurazione del centro è stato un gran giorno e lui era raggiante ed emozionato». Otto mesi dopo è stato ucciso.
di Tiziana Lupi
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