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Brancaccio celebra padre Puglisi: «Senza lavoro, porte aperte ai boss»

Il ricordo del prete assassinato dalla mafia 13 anni fa. La denuncia di padre Mario Golesano, suo successore in parrocchia. Il sindaco Cammarata promette: «Ci impegneremo per sistemare gli scantinati di via Hazon»

data articolo 16/09/2006 autore Giornale di Sicilia categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo del Giornale di Sicilia
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Brancaccio della speranza scopre 11 busto del sacerdote che la voleva diversa. Brancaccio della penombra guarda la scena con distacco. T.S. dice: «Non criminalizzare padre Puglisi. Però doveva farsi il parrino e basta. Ha sbagliato». Farsi il parrino. Cioè, limitarsi a erogare i sacramenti con la scrupolosità di un impiegato. Schizzare gocce d’acqua santa sulle bare. Utilizzare parole confortevoli per i piccoli esseri umani che nella stola del prete cercano un abbraccio celestiale che guarisca il dolore. Farsi il parrino. Per non essere «criminalizzato». Invece don Pino era testardo. Per questo l’hanno am­mazzato. Il monumento che lo ricorda, nel tredicesimo compleanno della sua morte, ravviva i lineamenti del suo sogno. È una mattina di sole e di manifestazioni ufficiali davanti al Centro Padre Nostro, accanto all’ex opificio di via San Ciro che diventerà un ritrovo per anziani. Brancaccio della speranza ascolta la musica della «Palermo Art Ensemble». Il sindaco Diego Cammarata scopre il busto di bronzo realizzato da Grazia Pernice. Don Mario Golesano rilancia l’appello alle istituzioni: «Qui serve soprattutto lavoro -dice il successore del sacerdote assassinato -. Se non c’è, si aprono porte e finestre alla mafia». Il sindaco commemora: «Don Pino credeva nel suo quartiere e nella sua città, credeva che fosse indispensabile che ciascuno di noi facesse qualcosa. Oltre a ricordarne la figura e la grande forza, parliamo di speranza, conti­nuando il nostro impegno per lo sviluppo sociale ed economico di Palermo e di questo quartiere, che non si sono mai piegati e arresi alla mafia». Qualche battuta pure sugli scanti­nati di via Hazon acquistati dal Comune e adesso in disarmo: «Siamo consapevoli -dice Cammarata -che ci sono altri passaggi da fare per la loro ristrutturazione e che il percorso sarà lungo e complesso. Andremo avanti, come abbiamo già fatto, con altrettanta caparbietà e determinazione». Tanto ruota intorno ai magazzini che padre Puglisi avrebbe voluto riconsegnare alla parte migliore di Brancaccio. La banda suona. Molte autorità, molti volontari, qualche cittadino. Presenti, tra gli altri, il vicesindaco Giampiero Cannella, il cardinale Salvatore De Giorgi, il prefetto Giosuè Marino, il questore Francesco Caruso, il vice presidente della Provincia, Totò Cianciolo. Ma bisogna inoltrarsi nella penombra per cogliere altri umori e respirare un’aria diversa. Scendendo verso il passaggio a livello, ecco Salvatore Di Gregoli, attaccato alle sue memo­rie: «Di Padre Pino -dice -ho un ricordo meraviglioso. Ha sposato mia figlia subito, anche se viveva fuori e non era della parrocchia. Sono stati dei cani ad ammazzano». Salvatore si toglie gli occhiali. Con un fazzolettino lucida la sua commozione: «Era un parrino speciale. Per il matrimonio si è messo a disposizione immediatamente. E non ha voluto nemmeno...». Dopo i puntini di sospensione, un gesto inequivocabile a indicare i soldi che colui che non faceva solo il parrino preferì non intascare per le nozze. Andando ancora più giù, le facce cambiano. E mutano pure le parole. Antonia, davanti alla porta di casa, rammenta senza tenerezza: «Era un prete molto severo Non ha permesso la comunione di mio figlio, perchè non aveva ultimato il catechismo». Una ragazza esce dal basso spalancato e sputa una frase con rabbia. «Era tinto».. Più in là, in fondo a una traversina, c’è una donna anziana spaventatissima. «Mi chiamo Maria Nicolosi e ho settantaquattro anni -racconta, aprendo appena le imposte -. Sono la zia di un ragazzo della parrocchia, Matteo Blandina (che avrebbe assistito a un evento criminoso ed è scomparso ndr). Non mi lasciano in pace. Mi hanno bruciato la porta di casa. L’hanno presa a pietrate. Mio marito è morto e non mi può difendere. Lo massacravano di botte e ci rapinavano pure dintra. lo non sto tranquilla. Succedono cose brutte. La mafia è troppo forte». Ufficialmente, risulta solo un incendio non doloso. Angoscia esagerata dalla solitudine e dalla vecchiaia? Chissà. L’ultima istantanea della penombra è Maria che tira il chiavistello, tremando. Maria che dice: «Un giorno mi ammazzeranno». Roberto Puglisi

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