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Brancaccio, riecco i «ragazzi» di don Pino

Sono tornati in via Hazon davanti agli scantinati, ancora nel degrado, che il prete reclamava per il quartiere

data articolo 15/09/2006 autore Giornale di Sicilia categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo del Giornale di Sicilia
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(rop) Eccoli i ragazzi di don Pino davanti al cancello che sbarra l'accesso ai famosi scantinati di via Hazon. Pino Martinez ha qualche filo bianco nei baffi. Mario Romano si è fatto crescere la barba, Giuseppe Guida è lo stesso di sempre. Anche via Hazon è quasi la stessa di allora. I magazzini che furono al centro delle rivendicazioni di don Puglisi sono rimasti come congelati, colmi di rifiuti. Il Comu­ne ha comprato i locali. I soldi per dare seguito ai progetti dovrebbero essere racimolati con un mutuo. Da Palazzo delle Aquile assicurano che non si andrà oltre novembre. Nel frattempo, l'istantanea della realtà sovrappone i cambiamenti delle persone all'immobilità delle cose. Ti afferra un po' di malinconia, se guardi gli ex ragazzi del Comitato intercondominiale davanti alle macerie di via Hazon. Gli scantinati, che un prete voleva sollevare dagli abissi del degrado per trasformarli in un vessillo di speranza e dignità piantato su Brancaccio, sono una discarica di sogni incompiuti. Eccoli, Pino, Mario e Giuseppe davanti al cancello che li riporta nel cuore del passato. Col Comitato intercondominia le cominciarono una battaglia di civiltà che culminò nel rogo delle porte di casa dei «ribelli» e nell'omicidio del 15settembre del ’93. Grigoli, il killer che sparò in testa alla speranza, disse: «Erano tutti nella stessa linea». Tutti hanno pagato un prezzo. «Lo stato ha abbandonato Brancaccio – dice Mario Romano - . Nel quartiere si spaccia ogni sera». Lui ha pagato con l’emarginazione. «Vivo qui con Guida. La gente ci evita. Se tornasse uno come padre Pugliesi, mi piacerebbe ricominciare. Finora abbiamo perso» Pino Martinez si è trasferito a Carini: «Quella del riscatto è stata un’esperienza meravigliosa per il quartiere – racconta -. Purtroppo è morta soffocata. Poteva cominciare un’altra storia, se si fosse raccolto il testimone. Gli scantinati rappresentano il simbolo della sconfitta della legalità. Lo Stato vincerà davvero a Brancaccio solo quando darà un segnale». La chiacchierata davanti al cancello arrugginito si colora di amarcord e rimpianti. Un vecchio si ferma. Si chiama Giuseppe. E’ sconsolato: «Siete venuti cinquantamila volte – protesta -. I politici li vediamo solo per l’anniversario e per le elezioni». «La gente vuole credere nel cambiamento –dice Mario Romano -. Ci vuole una scossa». Appena due sere fa, a San Saverio, i tre ex ragazzi del Comitato hanno ripercorso i giorni della speranza davanti a una platea attenta. «L’interesse è un buon segno. Chi lo coglierà?», si domanda Pino Martinez. E racconta quella sera a Brancaccio: «Mi telefonò suor Carolina, piangendo, e mi disse che aveva trovato padre Puglisi in una pozza di sangue. Capii che gli avevano sparato. Andammo al Buccheri La Ferla. Il cadavere era su una lettiga». Pino che ha avuto la porta di casa bruciata e amava quel prete gentile e discreto molto prima che un omicidio di mafia lo rendesse un personaggio pubblico, finisce con un filo di voce: «Aveva gli occhi chiusi e la testa reclinata a destra. Sembrava sereno». Roberto Puglisi

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